Un dialogo con Federico Parolotto

In un contesto metropolitano, architettura, urbanistica e mobilità possono essere considerate indissolubilmente legate. Quale sviluppo stanno prendendo i piani per le città e le aree metropolitane del futuro?

È necessario fare una distinzione tra le città occidentali, dalle economie mature, e quelle delle aree in forte espansione economica, nonché tra le cosiddette megalopoli e le città più piccole. Le città delle economie emergenti si troveranno ad affrontare problematiche profondamente diverse rispetto alle città consolidate del mondo occidentale, anche se le città dei Paesi emergenti sono state pianificate e continuano a svilupparsi secondo modelli urbani di tipo occidentale, cioè con una presenza pervasiva del trasporto privato. Al contrario, la pianificazione urbana in Occidente comprende oggi modelli che cercano di superare gli assetti urbani imperniati sul trasporto privato. L’abbandono dell’automobile è un fenomeno trasversale a tutte le economie occidentali ed è accompagnato da una crescita esponenziale della connettività digitale che dovrebbe consentire una gestione più efficiente delle città e soprattutto della mobilità urbana ed extraurbana. Queste tendenze ci permetteranno di iniziare a ripensare e ridistribuire gli spazi assegnati all’automobile. Penso che il modello urbano del futuro sarà caratterizzato da interventi “leggeri” che porteranno a cambiamenti sistemici come la sovrapposizione di sistemi flessibili di trasporto pubblico alla rete stradale esistente e la progressiva eliminazione della straordinaria quantità di parcheggi che caratterizzano tutte le nostre città. I flussi di mobilità urbana diventeranno più snelli ed equilibrati; forse le uniche infrastrutture veramente nuove saranno quelle invisibili che forniranno una sempre maggiore connettività digitale.

Che tipo di equilibrio si sta cercando di raggiungere tra i vari tipi di trasporto – dalle piste pedonali e ciclabili, al traffico privato e di veicoli pesanti, al trasporto pubblico in superficie e sotto terra?

Come detto, penso che la chiave per migliorare l’offerta di infrastrutture e la qualità delle nostre città debba essere la ridistribuzione funzionale piuttosto che l’aggiunta di nuove infrastrutture.
Il sistema di trasporto deve adattarsi alla morfologia della città che serve. I problemi di città come Londra e Parigi non possono essere direttamente paragonati a quelli di Milano, Barcellona o Zurigo.
Zurigo ci ha dato un esempio di come bilanciare i flussi di mobilità. È un modello da seguire per città di dimensioni simili e per la sua regione metropolitana.
Potremmo immaginare proprio questo tipo di sistema di trasporto leggero e flessibile sovrapposto alla rete esistente e gestito in modo digitale sulla falsariga di quanto è stato sviluppato in Svizzera. Si tratta di un sistema che potrebbe essere applicato alle aree suburbane delle regioni metropolitane, in altre parole a quei segmenti di città che spesso vengono definiti privi delle condizioni di base per sostenere un sistema di trasporto pubblico efficiente ed economicamente sostenibile.
Come spiega Paul Mees nel suo “Transport for Suburbia: Beyond the Automobile Age”, questo tipo di ridistribuzione potrebbe essere attuata anche nelle aree a bassa densità, dove l’auto è sovrana. Ciò consentirebbe un buon equilibrio tra trasporto pubblico e percorsi pedonali e ciclabili, che tornerebbero ad essere alla pari con l’auto privata.

Un corretto piano di mobilità è fondamentale per il successo di qualsiasi progetto di sviluppo immobiliare, per la costruzione di nuovi quartieri urbani o per la riqualificazione di aree degradate. Come vede il rapporto tra immobili e infrastrutture, o il modo in cui i pieni e i vuoti si relazionano nel tessuto urbano? Esiste una sorta di “regola d’oro urbana”, un equilibrio perfetto tra volumi costruiti, infrastrutture e verde urbano? Penso a quel magico amalgama che è Londra…

Quando si tratta di pianificare i sistemi di trasporto, pensare alla città in termini di pieni e vuoti è solo una metà della storia. La presenza di infrastrutture e soprattutto la densità e il tipo di flussi di mobilità determineranno il tipo di spazi che verranno creati. Questi possono essere molto diversi e avranno ripercussioni dirette sulla qualità degli spazi aperti in una determinata area.

I flussi di traffico che attraversano gli spazi o i vuoti hanno un impatto radicale sulla vita della comunità negli spazi pubblici tra gli edifici e incidono direttamente sui valori immobiliari.

Nel suo libro “Streets & Patterns”, Stephen Marshall ci invita a immaginare la Fitzroy Square di Londra attraversata prima da una bicicletta e poi da un numero crescente di veicoli a motore. Egli descrive come la natura stessa dello spazio cambi con i diversi tipi di flussi di trasporto. Quando si progetta uno spazio edificato, bisogna in qualche modo immaginare che tipo di flussi di traffico ci saranno, perché questi determineranno la qualità di quello spazio indipendentemente dal tracciato stradale. Devo anche dire che nel nostro lavoro di consulenza per progetti legati alla mobilità e ai trasporti, cerchiamo sempre di garantire un ambiente urbano in cui ci sia una sottile relazione tra gli spazi che separano gli edifici, ma anche che il modello dei flussi di mobilità garantisca la qualità urbana.

Oggi parliamo di ambiente urbano. Vedere le cose in termini di paesaggio stradale significa adottare un approccio completamente nuovo alla progettazione delle strade. È perché l’architettura ha un impatto sempre maggiore sull’urbanistica? O è piuttosto un riconoscimento del fatto che l’architettura non si occupa di costruire un singolo elemento, ma piuttosto di collocare un edificio nel suo contesto più ampio, in un tessuto connettivo che a sua volta deve essere pianificato?

La pianificazione integrata delle architetture e del tessuto connettivo circostante è fondamentale per il successo di un progetto. In questo contesto, la pianificazione del tracciato stradale non è solo una questione di determinazione delle geometrie. È ciò che crea un ambiente micro-urbano. Queste considerazioni, apparentemente ovvie, sono state in realtà profondamente contraddette dalla pianificazione urbana degli anni ’50 e ’60, quando i progettisti hanno avuto sempre meno voce in capitolo sulla qualità degli spazi urbani – il “paesaggio stradale”. Con l’arrivo delle automobili per le masse, un’epoca iniziata negli anni ’60 in Europa, si assistette alla nascita di una figura specializzata, l’ingegnere del traffico, il cui compito era quello di pianificare la rete stradale. Il suo compito era innanzitutto quello di risolvere i problemi di sicurezza stradale. In seguito è stato incaricato di valutare la rete stradale esclusivamente in termini di capacità. Ridurre la rete stradale a un sistema di trasporto privato ha generato sulle città gli effetti perversi che oggi conosciamo fin troppo bene. È fondamentale che i progetti infrastrutturali si riapproprino della complessità multiforme tipica di tutti i progetti urbani, prestando attenzione alla mobilità leggera e al trasporto pubblico, al microambiente e alla città nel suo complesso.

Il concetto di sostenibilità ha due aspetti fondamentali: un fattore di prestazione tecnica, legato al consumo energetico (per l’architettura) e all’occupazione del suolo (per l’urbanistica); e un fattore molto più ampio e complesso che ha a che fare con la società, il paesaggio urbano e naturale e il delicato equilibrio tra sopravvivenza e futura sostenibilità dello sviluppo urbano. In questo complesso insieme come possono incontrarsi e dialogare architettura, urbanistica e mobilità?

L’impatto della mobilità sull’efficienza energetica e sulla sostenibilità ecologica è enorme e purtroppo non sembrano esserci tecnologie in grado di fare passi avanti significativi nel breve periodo. Né ritengo possibile modificare i modelli urbani consolidati negli ultimi 60 anni di sviluppo urbano, che hanno portato a un diffuso sviluppo urbano a bassa densità. Va detto, tuttavia, che la riduzione strutturale dei volumi di traffico a cui stiamo assistendo dalla metà dello scorso decennio ci permetterà di ripensare in modo più appropriato gli spazi di mobilità nelle città esistenti. Gli spazi delle città destinati alle automobili sono spesso sovradimensionati anche per gli attuali flussi di traffico. Gli architetti, gli urbanisti e i pianificatori dei trasporti devono iniziare a collaborare tra loro per garantire che i progetti di infrastrutture di trasporto siano fondati su criteri di qualità urbana e non si limitino a considerazioni solo tecniche.

Riconsiderare la piattaforma stradale come un’opportunità per “ridistribuire” gli spazi o i vuoti può persino permetterci di concepire diversi scenari in cui la natura potrebbe riappropriarsi di luoghi da cui è stato progressivamente bandita dall’incessante asfaltatura di interi tratti urbani.

Autore: Federico Parolotto 4 Febbraio 2013 Intervista di Nicola Leonardi, da The Plan 063 – 12/2012

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